Da soli si fatica
A colloquio con Giulia Ghiretti
di Andrea CovaIn occasione del Giubileo delle Persone con Disabilità, che si sta svolgendo in questi giorni a Roma, proponiamo l'intervista pubblicata nel numero di aprile 2025 della rivista San Francesco patrono d'Italia alla nuotatrice paralimpica Giulia Ghiretti. Avevamo già conosciuto Giulia lo scorso ottobre, durante l'apertura del G7 Inclusione e Disabilità che si è svolta nella piazza inferiore di San Francesco. Questa intervista ha rappresentato un'opportunità per conoscere meglio la sua persona a tutto tondo.
Medaglia d’oro nei 100 m rana SB4 alle ultime Paralimpiadi di Parigi, ma non solo. Un medagliere di tutto rispetto tra Mondiali, Europei e, ovviamente, giochi paralimpici. Giulia Ghiretti a 31 anni è “molte cose”, anche ingegnere, e non ha ancora finito. Ma sicuramente può «lasciare il segno».
Prima di entrare in vasca era una ginnasta, quando a 16 anni, dopo un salto provato molte volte in allenamento, qualcosa va storto e la sua vita cambia per sempre. L’incidente sul trampolino elastico dà una sentenza definitiva: non potrà più camminare.
La determinazione non si ferma e il nuoto diventa la sua nuova casa: grandi soddisfazioni, ottenute con allenamento, sacrifici e la consapevolezza che lo sport non è solo competizione, ma anche rispetto, crescita e capacità di affrontare le proprie paure.
Giulia lo racconta con sincerità: «Lo sport ti insegna a gestire le emozioni, le paure, a tirare fuori il meglio di te. La paura c’è sempre, anche alle Olimpiadi, forse soprattutto alle Olimpiadi. Ma è quella paura che ti spinge oltre i tuoi limiti.» Ed è così che, con lo stesso spirito che l'ha portata a rialzarsi dopo l’incidente, affronta ogni nuova sfida, sportiva e personale.
Oggi, dopo l’oro paralimpico di Parigi, il percorso non si ferma. Tra nuovi obiettivi e cambiamenti, dentro e fuori dalla vasca, Giulia non smette di guardare avanti. «Non è facile ricominciare, ma è bello poter costruire nuovi progetti, lasciare un segno, aprire strade per altri.» Un messaggio che si rivolge anche a chi sta attraversando momenti difficili: «Non chiudersi, trovare le persone giuste. Piccoli passi, piccoli obiettivi. Costruire.»
Giulia, ci dici chi è Giulia Ghiretti?
È tante cose… o forse una sola, non lo so. Ti direi atleta, posso dire ingegnere, ma anche una persona che, rispetto a prima, ha imparato a capirsi di più. Un tempo facevo fatica a raccontarmi, persino in un'intervista mi chiedevo: "Chi sono io per parlare di me?". Ora invece penso che, se posso lasciare il segno, se posso essere utile ad altri, allora ne sono felice. Mi piace l’idea di fare da apripista. Quindi, forse, sono tutte queste cose insieme.
Quando ci siamo incontrati, ma anche guardando le tue foto, sei sempre molto sorridente. Qual è il tuo segreto?
Non so se esista davvero un segreto, in parte è semplicemente il mio carattere. Sono una persona positiva, mi piace affrontare la vita con il sorriso, ma credo che dietro ci sia anche il mio modo di vedere le cose. Ho sempre voglia di fare, di andare avanti. Penso che nella vita ci siano momenti in cui sembra necessario fermarsi, quando ci si trova davanti a un limite o ad un ostacolo che potrebbe sembrare insuperabile. Ecco, in quei momenti per me scatta qualcosa: invece di arrendermi, sento ancora più voglia di capire come andare oltre. È quasi una sfida con me stessa. Poi mi sento anche molto fortunata. Ho la mia famiglia, gli amici, persone che mi vogliono bene e che mi supportano in tutto quello che faccio. Poter condividere le mie esperienze con loro, sapere che ho sempre qualcuno al mio fianco, mi dà una forza incredibile. E forse è proprio questo che mi fa affrontare la vita con il sorriso: la gratitudine per quello che ho e per chi ho accanto. Quindi, più che un segreto, direi che è semplicemente il mio modo di essere.
Hai parlato di limiti. Hai attraversato anche momenti difficili, in cui magari hai pensato di mollare? Come li hai affrontati e superati?
La cosa che mi sento di dire è che non si affrontano da soli. Da soli si fa molta più fatica. Quando arriva un momento difficile, la differenza la fanno il supporto e la condivisione. Avere qualcuno accanto, sentire la vicinanza di chi ti vuole bene, poter parlare e non chiudersi dentro il proprio malessere: tutto questo aiuta tantissimo.
Con chi hai condiviso questi momenti?
Sicuramente con la famiglia e gli amici, prima di tutto. Ci sono cose di cui parli prima in famiglia, ed è un punto di riferimento fondamentale per me, indipendentemente da tutto. Ma poi ci sono anche gli allenatori e gli amici, che offrono una prospettiva diversa rispetto a quella familiare. Un amico vede le cose in modo diverso da un genitore o da un fratello, e questo aiuta. Ognuno ha il suo ruolo, ognuno fa la sua parte. Credo che dove non arriva uno, arrivi l’altro, ed è proprio questo che fa la differenza. È un continuo scambio, un supporto che diventa anche reciproco importantissimo.
Con il tuo amico Andrea Del Bue hai scritto il libro Sono sempre io. Un bel titolo. Cosa non è cambiato nella tua vita e cosa invece lo è?
Allora, direi che quello che non è cambiato sono io, nel senso che, certo, a livello fisico ci sono stati cambiamenti evidenti, impossibili da negare. Prima correvo con le gambe, ora corro in un altro modo, se così si può dire. Tante cose che prima potevo fare, ora non le posso più fare, è naturale. Però l’esserci, la voglia, lo spirito di condividere, tutto questo è rimasto intatto. Anzi, forse questa esperienza mi ha aperto più porte di quante avrei mai immaginato. Prendi per esempio l’Olimpiade: con il trampolino non l’avrei mai fatta, e invece ho avuto l’opportunità di vivere emozioni incredibili, esperienze che mi hanno insegnato tanto. E poi, cosa non è cambiato? Probabilmente tutto il resto. Quel titolo, come dici tu, è forte. All’inizio non mi piaceva per niente, perché tornava sempre quella domanda: “Chi sono io per dire una cosa del genere?”. E poi “Sono sempre io”: io chi? In realtà rappresenta proprio la continuità. Spesso si pensa che ci sia un prima e un dopo, ma in realtà c’è una persona, un filo unico, una vita. Quando mi sono fatta male avevo 16 anni, ed era comunque un momento della vita in cui si deve costruire il futuro, indipendentemente da tutto. Quindi sì, c’erano tante cose da ricostruire, ma anche tante altre da scoprire.
Lo sport ti ha tolto qualcosa, ma ti ha anche dato molto. Cosa hai imparato?
Certo. Guarda, io non riesco nemmeno a immaginare una mia vita senza lo sport. Secondo me, lo sport è anche un insegnamento di vita. Non voglio dire una metafora, perché forse suona troppo esagerato, ma in fondo è così: impari, ascolti, rispetti l’avversario, rispetti i ruoli. Il ruolo dell’allenatore, il tuo da atleta, la consapevolezza di ciò che puoi e non puoi fare. Sono gli stessi insegnamenti che cercano di darti i genitori, solo che nello sport li vivi direttamente, senza bisogno di tante parole. Ti insegna a gestire te stesso, le tue emozioni, le tue paure, e anche a trasformare l’adrenalina in qualcosa di positivo. La paura c’è sempre, anche alle Olimpiadi, forse soprattutto alle Olimpiadi. A Parigi avevo più paura che in qualsiasi altra gara, ma è quella paura che ti fa dare qualcosa in più, qualcosa che nemmeno immagini di avere. Lo sport ti insegna a tirarlo fuori, a condividerlo, a viverlo. Non si tratta solo di arrivare al risultato, ma di ragionare a piccoli obiettivi, di imparare a lavorare in squadra, perché ognuno ha il suo ruolo e il suo contributo per raggiungere qualcosa di grande.
Quindi è anche un supporto psicologico.
Assolutamente, secondo me aiuta la concentrazione.
Cosa si prova a vincere un oro olimpico?
Non si capisce niente. Davvero, è una sensazione indescrivibile. Parigi, per me, è stata qualcosa di unico. Sapevo che quello era l’obiettivo, ci avevo lavorato tanto, ma non avrei mai immaginato un’emozione così potente, così travolgente. La consapevolezza di quel momento, di quello stato d’animo, è qualcosa di impossibile da prevedere. Perché sì, è quello che vuoi, quello per cui hai lavorato, ma fino all’ultimo non sai se succederà davvero. E quando succede… il primo pensiero, appena ho toccato il bordo della vasca, è stato uno solo: ero svuotata, completamente. Non riuscivo a ridere, non riuscivo a piangere, non riuscivo a fare niente. Poi, quando sono arrivate le persone, i primi abbracci, lì è scoppiato tutto. E allora sì, sono partite le lacrime.
Al di là delle medaglie, la vittoria più bella che hai raggiunto fino a questo momento?
Adesso ti direi Parigi. Ma non solo per la medaglia, come hai detto tu, quanto per tutto quello che ho vissuto prima, durante e dopo. Perché è stato un percorso difficile, intenso. Ci sono arrivata con il mio staff tecnico, che in realtà è molto più di questo: il mio allenatore, il preparatore, il fisioterapista… sono persone che fanno parte della mia preparazione non solo sul piano sportivo, ma anche umano. Fondamentale poi è stata la famiglia, fondamentali gli amici. Pensa che ogni volta che tornavo dalla piscina, magari dopo un’ora di viaggio, ero al telefono con loro: mi tenevano sveglia, mi facevano compagnia. Tutti questi dettagli fanno parte di quel giorno, di quella medaglia. E sapere che sugli spalti, in quel momento, c’erano più di 80 persone tra amici e famiglia, venuti apposta per essere lì: è stata un’emozione indescrivibile. Averli accanto, sapere che volevano condividere con me quel momento, che anche loro non erano da soli ma insieme, ha reso tutto ancora più speciale. Poi certo, la medaglia ha coronato il tutto, ha amplificato ogni emozione. La cosa più bella, forse, è stata proprio questa: sapere che la tensione che avevo io prima della gara era la stessa che avevano loro sugli spalti. E poi, alla fine, la gioia di condividerla insieme.
C’è qualcosa che ti senti di poter o voler dire a una ragazza o un ragazzo che vive una situazione simile alla tua? O che comunque sta affrontando un periodo difficile e pensa di non farcela?
Queste sono le domande che mi mettono più in difficoltà, perché sento il peso di quello che posso dire. So che una risposta, in certi momenti, può fare la differenza per chi non sta vivendo una situazione facile. Quello che mi sento davvero di dire è di non restare soli. Di non chiudersi, ma di provare a condividere, a cercare di avere accanto le persone giuste. Non è sempre semplice trovarle, a volte è anche una questione di fortuna, ma sono loro che possono davvero fare la differenza. Perché quando hai intorno le persone giuste, ti aiutano a vedere cose che magari tu, in quel momento, non riesci a cogliere. E se ti vogliono bene, ti sostengono, ti danno una spinta per uscire da un periodo difficile. Poi credo sia importante darsi piccoli obiettivi, uno alla volta. Non serve guardare troppo lontano, basta costruire passo dopo passo. E a poco a poco, ce la si può fare.
A proposito di obiettivi, c’è ancora qualcosa che desideri realizzare? Quali sono i prossimi, sia da un punto di vista umano che sportivo?
Guarda, è una domanda difficile anche per me in questo momento. Dopo Parigi, ricominciare non è semplice. L’anno scorso mi sono laureata alla magistrale, poi è arrivata l’Olimpiade, è andata bene e ora ripartire richiede uno sforzo in più. Ma dall’altra parte è anche bello, perché significa poter iniziare a costruire nuovi progetti su più fronti. A livello sportivo, il prossimo obiettivo è il Mondiale a Singapore, a settembre. Poi ci sono altre idee in cantiere, che spero prendano forma. Però sempre con l’idea di trasferire qualcosa, di lasciare un segno, di aprire strade per altri. Non so se definirlo “essere portavoce”, forse è troppo, ma sicuramente mi piacerebbe fare qualcosa che possa servire anche agli altri. Questo è quello che sento di voler fare adesso.
Giulia, oggi come stai?
Oggi sono molto stanca, ho appena finito una gara e mi sento un po’ frastornata. È un momento di cambiamento, anche a livello federale, quindi ci sono tante cose da capire sul futuro.
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Andrea Cova
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