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Il poeta Francesco d'Assisi

L'animo poetico di San Francesco, il suo rapporto con la poesia

di Antonio Tarallo

Leonardo Da Vinci, voce e immagine sublime del nostro Rinascimento, scrisse: “La pittura è una poesia muta, e la poesia è una pittura cieca”. Definire cosa sia realmente poesia è davvero opera complicata, quasi impossibile. Ammettiamolo pure. La poesia, una strada ricca di immagini, di sentimenti: un dialogo infinito con l’Assoluto, con sé stessi. La poetessa Wislawa Szymborska, forse la più grande icona poetica mondiale contemporanea, non si avventurò a definire la poesia nemmeno in occasione del discorso per il Premio Nobel: in quel 7 dicembre 1996, si limitò a dire che qualunque cosa fosse l’ispirazione nasceva da un grande “non lo so”. L’americano Premio Pulitzer Carl Sandburg, invece, alla domanda cosa fosse la poesia rispose: "La poesia è un diario scritto da un animale marino che vive sulla terra e vorrebbe volare". 

E San Francesco voleva volare. Voleva volare, eccome. Lui, con il suo animo di contemplatore del Cielo e della Terra - anche la Terra, la nuda terra aveva per lui grande significato, lo sappiamo - aveva dentro di sé così impressa l’immagine di Dio che il suo desiderio unico era proprio lambire le nuvole seppur così alte nel cielo. Potremmo immaginarlo, immerso nella natura umbra, contemplare sì l’orizzonte - lì dove il sole tramontava e sorgeva, lì dove il sole tramonta, tutt’ora, e risorge ogni giorno - e scagliare il suo cuore nella verticale dell’Infinito, nella verticale che lo portava - come Icaro - a volare con la sua mente, il suo animo all’azzurro del cielo oltre i monti, le campagne, le case della sua Assisi. 

E, molto probabilmente, se qualcuno gli avesse domandato il perché di quel suo contemplare, avrebbe risposto come Giorgio Caproni, insigne penna poetica del ‘900: “Buttate pure via ogni opera in versi o in prosa. Nessuno è mai riuscito a dire cos’è, nella sua essenza, una rosa”. E, dopo aver detto ciò, si sarebbe ritirato in preghiera in qualche cappella, e lì, avrebbe iniziato altra contemplazione: a tu per tu con il Signore Eucarestia. 

Molte volte si dimentica, forse, che la Letteratura italiana (e anche mondiale) dovrebbe ricordare come importante: fra le primissime esperienze poetiche della letteratura italiana vi è proprio uno dei più famosi componimenti del Poverello di Assisi, “Il Cantico delle Creature”, conosciuto anche come “Il cantico di Frate sole e Sorella Luna”. Poesia scritta da San Francesco, fra i primi importanti componimenti poetici della lingua volgare. Rappresenta la più famosa poesia religiosa di sempre della letteratura italiana.

Scritta in lingua volgare umbra nel 1224 da Francesco d’Assisi, Il Cantico si presenta come una prosa ritmica, che richiama i ritmi delle litanie, con la presenza di versi di varia lunghezza, stilizzati in base alle consonanze e alle assonanze oltre che alle rime. La storia della fortuna letteraria del Cantico coincide con il concetto stesso di Storia della letteratura italiana e l’idea del Cantico come prima opera della letteratura italiana nasce con il romanticismo.

Il componimento è preghiera, prima di tutto. Un ringraziamento rivolto al Creatore per la sua opera di bellezza presente in ogni dove, ma presente è anche nella morte che anch’essa  glorifica Dio. All’uomo non spetta che il compito di accettare umilmente e serenamente tutto ciò che proviene da Dio. Abbandonarsi, il verbo sottinteso nella poesia di San Francesco. E, in fondo, possiamo ben dirlo: non è solo il Santo, il frate Francesco ad abbandonarsi a Dio, è - anche - il poeta Francesco che si abbandona a Lui. Lo scrittore di versi, il contemplatore del mondo e delle creature, segue la cosiddetta “via del turacciolo” di Renoir. Una strada che - a prima vista - potrebbe poco aver che fare con il Cristianesimo e che - invece - a pensarci bene ha tutto il significato di questo. “Bisogna seguire la corrente… quelli che vogliono risalirla sono dei pazzi o degli orgogliosi, o, peggio ancora, dei distruttori. Di tanto in tanto si deve dare un colpo di timone a destra o a sinistra, ma sempre nel senso della corrente”. E San Francesco ha seguito nella sua vita questa corrente. La corrente di Dio. 

 


Antonio Tarallo

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