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Il consumo disperde ma l'uso personalizza

Veniamo privati della capacità di pensarci nel mondo e del senso di comunità

I riti sono azioni simboliche. Tramandano e rappresentano quei valori e quegli ordinamenti che sorreggono una comunità. Creano una comunità senza comunicazione, mentre oggi domina una comunicazione senza comunità. A costituire i riti è la percezione simbolica. Il simbolo (dal greco symbolon) indica originariamente il segno di riconoscimento tra ospiti ( tessera hospitalis). L' ospite spezza a metà una tavoletta d' argilla e ne dà un pezzo all' altra persona in segno di ospitalità. In tal modo il simbolo serve per il riconoscimento. () La percezione simbolica, intesa come riconoscimento, percepisce ciò che dura: il mondo viene liberato dalla propria contingenza e ottiene un che di permanente. Oggi il mondo è assai povero di simboli: i dati e le informazioni non possiedono alcuna forza simbolica, per cui non consentono il riconoscimento. Nel vuoto simbolico si perdono quelle immagini e quelle metafore capaci di dare fondamento al senso e alla comunità, stabilizzando la vita. L' esperienza della durata si attenua, mentre la contingenza aumenta radicalmente.

I riti si lasciano definire nei termini di tecniche simboliche dell' accasamento: essi trasformano l' esserenel- mondo in un essere-a-casa, fanno del mondo un posto affidabile. Essi sono nel tempo ciò che la casa è nello spazio. Rendono il tempo abitabile, anzi lo rendono calpestabile come una casa. Riordinano il tempo, lo aggiustano. Nel romanzo La cittadella, Antoine de Saint-Exupéry descrive i riti proprio come tecniche temporali dell' accasamento: «e i riti sono nel tempo quello che la casa è nello spazio».() Oggi al tempo manca una struttura stabile. Non è una casa, bensí un flusso incostante: si riduce a una mera sequenza di presente episodico, precipita in avanti. Nulla gli offre un sostegno, e il tempo che precipita in avanti non è abitabile. I riti stabilizzano la vita. Parafrasando Antoine de Saint-Exupéry, potremmo dire che i riti sono nella vita ciò che le cose sono nello spazio. Per Hannah Arendt è la resistenza delle cose a offrire loro un'«indipendenza dagli uomini». Le cose hanno «la funzione di stabilizzare la vita umana». La loro oggettività sta nel fatto che «gli uomini, malgrado la loro natura sempre mutevole, possono ritrovare il loro sé», cioè la loro identità, «riferendosi alla stessa sedia e allo stesso tavolo».

Le cose sono il punto fermo, stabilizzante della vita. I riti hanno la medesima funzione: stabilizzano la vita per mezzo della propria medesimezza ( selbigkeit), della loro ripetizione ( wiederholung). Rendono, dunque, la vita resistente. L' odierna coazione a produrre sottrae alle cose la loro resistenza: essa distrugge consapevolmente la durata allo scopo di produrre di piú, di costringere a un maggior consumo. L' indugiare, d' altro canto, presuppone cose che durano; se le cose vengono solo usate e consumate, ecco che indugiare diventa impossibile. E dal momento che la stessa coazione a produrre destabilizza la vita smontando ciò che dura nella vita, essa distrugge anche la resistenza della vita, sebbene quest' ultima si allunghi. Lo smartphone non è una cosa che piacerebbe a Hannah Arendt, gli manca proprio quella medesimezza in grado di stabilizzare la vita e non è neanche particolarmente resistente. Si differenzia da cose come un tavolo, che mi affrontano col loro sé. I suoi contenuti mediali che richiamano di continuo la nostra attenzione sono l' esatto contrario del sé. Il suo cambiare rapidamente non consente alcun indugio. L' inquietudine propria di questo tipo di apparecchio lo rende una non-cosa. Inoltre, il suo utilizzo diventa costrittivo, invece da una cosa non dovrebbe scaturire alcuna costrizione.

Sono le forme rituali che, come la cortesia, rendono possibile non solo un bel rapporto interpersonale, ma anche un bel rapporto delicato con le cose. Nel quadro rituale, le cose non vengono consumate o spese, bensí usate: cosí possono anche invecchiare. In preda alla coazione a produrre ci rapportiamo alle cose e al mondo non come utilizzatori, bensí come consumatori. Di ritorno, le cose e il mondo consumano noi. Il consumo senza scrupoli ci attornia insieme alla sparizione, che destabilizza la vita. Le pratiche rituali fanno sí che ci rapportiamo armoniosamente non solo con le altre persone, ma anche con le cose. (Traduzione S. Aglan-Buttazzi) di Ullstein e per gentile concessione di Berla & Griffini Rights Agency -  Avvenire



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