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Scusate, mai chiesto aiuto prima d'ora

Milano, tra i nuovi poveri sfamati dai volontari

Le periferie di Milano rischiano di trasformarsi in enormi lazzaretti, dove la metropoli ricca il doppio del resto d'Italia verrà chiamata a fronteggiare l'emergenza più inaspettata: la fame. Se a oggi sono tremila le famiglie bisognose di rifornimento alimentare (diecimila persone), di quanto si moltiplicheranno domani? Chiuse per coronavirus le mense dei poveri, scomparso l'assembramento davanti allo spaccio solidale del "Pane Quotidiano" in viale Toscana, interrotto il servizio di fornitura delle parrocchie perché molti loro volontari hanno più di 65 anni, cosa succederà se, isolati in casa, i senza niente diventeranno cinquantamila o centomila?

Per incontrare la nuova povertà nascosta di Milano mi indirizzano al Centro anziani "Il Ritrovo" di via Fabrizio De André (la targa stradale lo definisce: poeta), trasformato in sede di smistamento di pacchi alimentari per chi di soldi in tasca non ne ha più. È uno dei sette hub allestiti in fretta e furia dal Comune di Milano. Copre il Municipio 5 che dai casermoni di estrema periferia del Gratosoglio, passando per l'edilizia popolare della Stadera, arriva fino a Porta Ticinese. Da venti giorni ci lavora un drappello di dipendenti comunali selezionati fra i duecento che, su base volontaria, hanno rinunciato al rifugio dello smart working.

Coordinati dall'architetto Alessandro Marchello (edilizia residenziale pubblica), ogni mattina svuotano i pallets in arrivo dal deposito di Muggiò del Banco Alimentare. Oggi, accidenti, è finita la passata di pomodoro. Scarseggiano anche la pasta e l'olio. Marco Tagliaferri (geometra), Stefano Pinnetti (commissario della polizia locale), Roberto Sforni (avvocato) e Marco Poda (elettricista) dispongono le confezioni di cibo sui tavoli, riempiono le buste di plastica e ci pinzano sopra nome e indirizzo: 8-10 kg a settimana per una famiglia di quattro persone.

Verso l'una arrivano i pullmini della Gtp attrezzati con le pedane e il sollevatore per il trasporto disabili, che ovviamente durante l'epidemia non si effettua più. L'autista Piero Cudazzo e l'accompagnatore Dario D'Afflitto, riconoscibili dalla pettorina gialla con su scritto "Milano aiuta", caricano i pacchi e insieme a loro partirò per fare le consegne. Sul muro sono affisse le istruzioni. Cammin facendo si telefona ai richiedenti aiuto: «Siamo del Comune, stiamo arrivando».

Chi può scenderà in strada a ritirare la spesa. Dove invece bisogna salire ai piani superiori perché nelle case vecchie non c'è ascensore, o perché gli anziani si muovono a fatica, la regola sarebbe di evitare rigorosamente ogni contatto fisico. Parlarsi solo attraverso la porta chiusa, lasciare il pacco e, se chiedono di recapitare un messaggio, lo scrivano e lo passino sotto la porta. Precauzioni che non sempre riusciremo a rispettare.

Dovremmo rispettare anche la privacy, non bisogna che si sappia chi è rimasto sul lastrico. Ma figuriamoci se passiamo inosservati nei cortili con le scale dalla A alla G, e la statua della Madonna dipinta d'azzurro nel mezzo.

Quando suoniamo il citofono si affacciano in tanti, scendono e chiedono: «Come si fa? Ne ho bisogno anch' io». Poi arriva la portinaia sospettosa: «Ma come, portate il pacco a quello lì? Ma se ha già il servizio di pasti a domicilio». «Segnaleremo».

Le assistenti sociali hanno programmato 250 consegne in Zona 5, e siccome nella limitrofa Zona 6 che va dalla Barona al Lorenteggio sono quasi il doppio, ci toccherà sconfinare. «Vedrai che saranno quasi tutti stranieri», mi avvertono i due della Gtp. Saranno clamorosamente smentiti. In via Inganni veniamo accolti con stupore da C., un diabetico di 64 anni: «Non credevo sareste arrivati così presto, ho appena fatto la spesa e mi restano in tasca 20 euro fino alla fine del mese. Ho pagato il gas ma devo rinviare la bolletta della luce e i 40 euro dell'affitto». Il fatto è che da gennaio gli hanno ridotto il reddito di cittadinanza da 500 a 200 euro. Il condominio di via Merula ci accoglie listato a lutto per la morte di Giuseppe Aliano. Scende la signora G., distinta e imbarazzata: «È la prima volta che devo chiedere. Di solito ci pensa mia figlia che però vive a Gaggiano. Frequentavo la Terza Età, da lì mi hanno avvertito del vostro servizio. Grazie, grazie, spero di poterne fare a meno prima possibile».

Si fa fotografare volentieri col suo berretto "Salvini premier" e la busta della Coop in mano il pensionato R. di via Giambellino: «Anche per me è la prima volta, l'ho saputo dai servizi sociali»... (La Repubblica)



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