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Le democrazie fragili del 'secolo lungo'

 Lo storico spagnolo Casanova rivede le violenze del '900

Il Novecento è stato definito dallo storico Eric Hobsbawm il "secolo breve". In realtà con i suoi orrori, dal colonialismo alle due guerre mondiali, alle rivoluzioni, alle utopie totalitarie, dalla brutalità dei Gulag all'inferno della Shoa, è un periodo lungo di indómita violenza. Che contraddice la tradizionale divisione storiografica fra un prima metà del secolo, oppressiva ed oscura, e una seconda pacifica e redentrice. Ed è il filo conduttore, quasi ininterrotto che ha marcato a sangue e fuoco la storia europea, dipanato da Julián Casanova, cattedratico di storia contemporanea all'Università di Saragozza e fra i maggiori storici iberici, nel suo saggio Una violencia indómita. El siglo XX europeo' (Ed. Critica) appena pubblicato. 

«Parlo di un lungo secolo, in cui la violenza comincia nelle colonie, esercitata dai vecchi poteri imperiali europei e non termina con la disgregazione dell'impero soviético nel 1991, ma dopo la guerra in Jugoslavia», spiega ad "Avvenire". «E' una violenza trasversale, senza frontiere, passa attraverso genere, nazioni, ideologie. Indomita perché una volta che si disintegrano gli imperi, gli stati assumono forme di violenza paramilitare, di resistenza, guerre, rivoluzioni e controrivoluzioni, che trascinano il continente nei decenni più violenti della sua storia », aggiunge Casanova, visiting profesor alla Central European University.

Per la sua ricerca, ha ampliato l'angolo visuale: perché?

Mi interessava la visione dell'Europa dall'Est rispetto a quella eurocéntrica franco-britannica, che riflette il punto di vista europeo occidentale e minimizza i diversi processi storici di un' ampia regione dell' Europa centrale e dell' Est e dei paesi mediterranei. Sono molteplici storie che si incrociano e si sovrappongono. Ho percorso sentieri secondari per cercare nessi di continuità, come razza, religione, patria, militarismo...

Uno è il colonialismo di cui descrive le conseguenze devastanti che vanno ben oltre la grande guerra...

Dopo Bismark, la percezione ge- nerale era che la fine dell'Ottocento fosse stata periodo pacifico fino alla Belle Époque. Con altri storici, sostengo che nella storia coloniale si sperimentano forme di violenza poi importate in Europa, che già minavano i cimenti democratici. La Grande Guerra pone la scienza al servizio delle armi, cosa che era già avvenuta nei primi bombardamenti italiani in Libia. E i primi campi di concentramento furono aperti a Cuba dagli spagnoli, in Sudafrica dai britannici, e nel sudest africano dai tedeschi.

Dalle colonie, "l' orgia di violenza" riaffiora nel 1914 nel continente europeo. Io esamino le differenze fra il terrorismo del XIX secolo - con la Russia come laboratorio - i regicidi, il terrorismo anarchico e la violenza di massa, che manda in disfatta gli eserciti tradizionali e apre la strada alle milizie, al fascismo, alla rivoluzione russa.

Percorre i decenni fino ad arrivare a figure sanguinarie come Ceausescu o Milosevic. Segnala i responsabili dei massacri ma anche come i processi di violenza necessitino una base sociale e la complicità delle élites. Non erano inevitabili?

Mi preme dimostrare, oltre all' analisi delle strutture, come l' azione umana abbia un ruolo decisivo nella storia. Ci sono gli uomini dietro le decisioni. Hitler, Mussolini o Franco acquisiscono legittimità quando le sfere intellettuale, politica, militare, imprenditoriale e mediatica decidono di puntare su di loro.

Ricorda che con l'auge dei movimenti populisti di destra e dell' autoritarismo, fascismo e violenza furono uniti fin dall' inizio.

Sì, è una tesi di Emilio Gentile, l'autore che meglio ha concettualizzato quella "identità d'origine". Io evidenzio che il seme della violenza è una cosa e che la presa del potere e il suo consolidamento è un' altra. La peculiarità del caso italiano radica nel germe di D' Annunzio, nella vittoria mutilata, che diede al fascismo l' opportunità di consolidarsi..

Pulizia etnica, genocidi, un capitolo è dedicato alla violenza di massa sulle donne: quando divennero strategie offensive?

Il genocidio in Armenia ha chiari precedenti nel XIX secolo, anche se la prima grande pulizia etnica avviene nel 1916. E' la disgregazione dell' impero turco ottomano a far sì che le persecuzioni dei cristiani in Armenia diventino politiche di sterminio in un conflitto bellico. La violenza sessuale come arma di guerra è per la prima volta evidente con le schiave armene vendute ai mussulmani nel campo di Mezreh. Passa, poi, per Ungheria, Austria, Germania. Si manifesta nella Guerra Civile spagnola e, soprattutto, negli stupri compiuti dalle truppe sovietiche a Berlino, Vienna e Budapest, che furono la norma nel '45 con l' arrivo dell' Esercito Rosso. Prende forma col genocidio in Bosnia per la storiografia, che comincia a occuparsene dai processi dei Tribunali internazionali dell' Aia.

Perchè così tardi?

I principali studi sulle donne hanno avuto inizio con la storia sociale sulle lotte alla disuguaglianza, per i diritti civili e politici. Non c' era enfasi perché si considerava nel fondo irrilevante. E' una violenza premeditata, a costo zero. Nel libro dimostro che ha un ruolo importante, funzionale non solo ai piani dei carnefici, ma anche per gli effetti sui testimoni e gli apprendisti criminali.

Ritiene che la pandemia abbia rafforzato le autocrazie?

Sì. Credo però sia un buon indicatore che scienza e tecnologia siano al servizio della cura e non della guerra. Le cicatrici che persistono non sono segnate dal presente ma dalla discussione sul passato. Non c' è una memoria comune, solo memorie divise, incrociate.

Alla luce della nuova legge di memoria democratica in Spagna, che bilancio fa della riconciliazione?

Credo fermamente che la riconciliazione ci sia stata nel modo in cui si realizzò la Transizione. Lo stesso è avvenuto altrove, ma una memoria divisa accetta le discussioni sulle statue di schiavisti e colonizzatori negli Stati Uniti, sul perché Putin voglia incastrare solo alcuni tasselli nella grande Russia o sul perché la Serbia reinventi la sua storia.

Quali lezioni abbiamo appreso dal secolo passato?

Anzitutto che la democrazia è fragile ed è un bene di cui avere cura. Poi, che gli eserciti devono essere controllati da stati legittimati a loro volta dalla società civile e che bisogna evitare movimenti paramilitari nelle strade. Di quel passato violento nel fondo restano echi, che possono tornare, come in ex Jugoslavia. La Bielorussia odierna, per esempio, ricorda la Spagna dell' ultimo franchismo. (Avvenire)



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